giovedì 27 agosto 2009

1. Verso una società migliore

1.1. Per una nuova utopia di buongoverno
Nel corso della storia non sono mancati quanti hanno sognato di poter realizzare un cambiamento radicale della propria società, e sono stati chiamati «utopisti», che significa «poveri illusi», «ingenui» o addirittura «folli», e i fatti sembrano giustificare questi epiteti. Infatti, la storia dimostra che le società sono organismi statici o a lenta evoluzione e nessuna utopia diventa realtà, nessuna ha la forza per imporsi, perché non vi aderiscono né le masse, né gli aristocratici, le une e gli altri essendo diffidenti o contrari nei confronti delle novità e dei cambiamenti. Ciononostante, gli uomini non hanno mai smesso di raccontare i loro sogni e le loro aspirazioni e ci hanno lasciato testimonianze ad imperituro ricordo, che vanno dal giardino dell’Eden alla Repubblica di Platone, dal Regno di Dio del Nuovo Testamento ai movimenti millenaristi, dalla Città del sole di Tommaso Campanella all’Utopia di Tommaso Moro, dal Codice di natura di Morelly al Contratto sociale di Rousseau, dall’egualitarismo di Babeuf al socialismo utopico, dal positivismo allo scientismo, dal comunismo universale all’economia della felicità. Tutto ciò testimonia l’irrefrenabile anelito dell’uomo ad un mondo migliore, anche se poi la realtà delle cose è tale che questi desideri svaporano nell’utopia, cioè nel nulla.
Oggi il pensiero utopico sembra fuori moda, se non altro per la difficoltà di poterlo riproporre in un’epoca di disincanto. Eppure, se guardiamo bene, possiamo scorgere elementi di utopia nella fiducia che riponiamo nella crescita illimitata del progresso, nella felicità consumistica, nell’onnipotenza del mercato, nel mondo globalizzato, ma anche in quella democrazia procedurale che è indicata come lo stato dell’arte della politica, come la pietra tombale dei regimi autocratici, mentre l’altra grande utopia, la DD, seppur vagheggiata da molti, continua ad essere ignorata dai più o semplicemente ritenuta una chimera. Proprio le grandi sfide del giorno d’oggi, dalla globalizzazione al fenomeno demografico, dal consumismo all’inquinamento ambientale, dalla diseguale distribuzione delle risorse al rischio di annientamento atomico, queste sfide rendono ancora attuale l’anelito verso un mondo migliore, perfino all’interno di una grande istituzione religiosa millenaria, che dovrebbe ormai rappresentare una sorta di punto di arrivo, ovvero il migliore dei modelli sociali possibili. Ebbene, un illustre membro di questa chiesa, il sacerdote-teologo Hans Küng, si è espresso recentemente con queste parole: “A mio parere è necessaria essenzialmente una visione argomentata di un ordine mondiale migliore, a partire dalla quale possano essere decise le strategie e le tattiche per attuarla” (2010: 321). Evidentemente, il mondo in cui viviamo lascia ancora a desiderare e ciò rende ancora attuale il desiderio di poter vivere in una società «migliore». Ma come dovrebbe essere questa società?

1.2. La società migliore
Secondo Enrico Diciotti, la «società migliore» dovrà collocarsi ad un livello intermedio fra il comunismo e l’anarco-capitalismo, dovrà essere cioè una società di tipo misto, che, alla fine, potrà “apparire più simile a una democrazia comunista che ad una società di mercato, o viceversa più simile a una società di mercato che ad una democrazia comunista; ma la verità è che ragionevolmente condividerà tratti di entrambe” (2006: 204). Lo studioso si ferma qui e rimanda ad una discussione ben più lunga e complessa il compito di descrivere in modo puntuale questa nuova società (2006: 207).
Oggi, almeno in Occidente, probabilmente i più non esiterebbero ad affermare che la «società migliore» vagheggiata da Diciotti, qualunque essa sia, non possa essere altro che una democrazia. Ma quale democrazia? La tesi che sosterrò in questi blog è che la società migliore non è la democrazia rappresentativa (DR), bensì la democrazia diretta (DD), e cercherò di dimostrare il mio assunto ponendo a confronto le due democrazie.
Affermerò che la DD è la forma di democrazia che meglio valorizza il capitale umano, che meglio coniuga ciò che di buono hanno espresso il comunismo e il capitalismo e che meglio risponde alla crescente richiesta di glocalismo. Affermerò che una buona DD deve riconoscere a tutti i cittadini un reddito minimo garantito (RMG) a tutela dell’effettivo esercizio dei propri diritti fondamentali, che sono la vita, la salute, la libertà, le pari opportunità, il libero accesso alle informazioni, il pensiero autonomo e responsabile, la sovranità e la partecipazione politica. Partendo da questa base, proverò a spiegare le ragioni che mi inducono a vedere nella DD la forma di governo più giusta sotto il profilo etico, più performante sotto il profilo amministrativo e più redditizia sotto il profilo economico, rispetto ad ogni altra. Affermerò, infine, che la DD è l’unica forma di governo in grado di garantire condizioni di pace e di prosperità a livello mondiale, di rispondere adeguatamente alle sfide della globalizzazione, dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile, di dare agli uomini prospettive di serenità e forse anche la felicità che essi sognano da tempi immemorabili.

1.3. Tempi di attuazione
La mia tesi afferma anche che la DD è una forma di governo non utopico, ma potenzialmente operativo, sia pure in tempi non brevi. C’è però uno sparuto gruppo di persone, in prevalenza giovani, intelligenti, entusiasti, ottimisti, che non solo conoscono il modello DD, ma lo ritengono anche facilmente attuabile. L’unico problema che vedono è quello dell’informazione. Se la gente conoscesse la vera democrazia, pensano, molti vorrebbero aderirvi e, in poco tempo, la DD sarebbe una realtà consolidata nel nostro paese e nel mondo. Accomunati dallo scontento per gli attuali regimi, questi giovani hanno cominciato ad organizzarsi dando vita a movimenti locali e anche a reti internazionali, comunicando abitualmente via Internet e talvolta riunendosi in convegni per scambiarsi esperienze e opinioni. Stampano e distribuiscono volantini, se possono pubblicano articoli o partecipano a programmi televisivi, i più facoltosi fondano riviste proprie a diffusione locale. Nulla essi lasciano di intentato per sensibilizzare l’opinione pubblica e per incamerare i consensi di quanti sono scontenti della politica attuale e convertirli alla DD. Per questi giovani la DD è un partito come gli altri, una cosa semplice, che chiunque può agevolmente capire e metabolizzare. Essi vogliono la DD, e subito e, a mio parere, sbagliano.
Diversamente da ciò che sognano questi giovani esuberanti, io credo che la DD comporti un radicale mutamento dei valori correnti e l’edificazione di una società così profondamente diversa da ogni altra a noi nota da richiedere tempi anche lunghi. Del resto, per una rivoluzione di così ampia portata non bisogna avere fretta. Dobbiamo prepararla e prepararci affinché quando essa verrà, non dovremo assistere ad una meteora, a un lampo di luce, ad uno squillo di tromba, ma ad una conquista stabile, imperitura e irrinunciabile.

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