giovedì 27 agosto 2009

3. Democrazia diretta

È stata chiamata così dai moderni quella che, per gli antichi, era semplicemente la «democrazia senza aggettivi» della quale abbiamo parlato. Ci chiederemo ora che cosa significhi l’aggettivo «diretta», perché questa forma di democrazia è stata fatta oggetto di critiche, quali fattori la favoriscono e quali le si oppongono, perché crederci o non crederci.
Iniziamo con l’aggettivo «diretta» e diciamo subito che esso non aggiunge nulla alla sostanza della democrazia, ma serve solo ad indicare che il potere politico è esercitato dai cittadini in modo diretto e senza intermediari. È un aggettivo che inerisce alla procedura e non ai valori che sostanziano la democrazia. È poiché, com’è stato osservato, la democraticità di una decisione risiede nei valori che essa esprime. non meno che nella modalità in cui la decisione stessa è stata presa, ne consegue che dobbiamo sfatare la convinzione, assai diffusa, che «diretta» significhi «più democratica».

3.1. Democrazia referendaria
Ora, si dà il caso che il referendum sia oggi assurto a simbolo del «direttismo», a tal punto che espressioni come «democrazia diretta» e «democrazia referendaria» vengono usate pressoché come sinonimi, e anche come sinonimi di maggiore democrazia (Verhulst e Nijeboer 2007; Benedikter 2008; Michelotto 2008). Non ci si accorge che, così facendo, si continua così ad enfatizzare l’aspetto procedurale a discapito di quello sostanziale della democrazia. Il referendum, infatti, è una semplice specificazione dell’aggettivo «diretta», talché dire «democrazia diretta referendaria» vuol solo indicare che anziché votare nell’assemblea per alzata di mano sulle singole questioni all’ordine del giorno, si vota nella cabina elettorale (o per posta e per via telematica) su una o più specifiche questioni prestabilite. L’aggettivo «referendaria» inerisce alla procedura, non ai valori della democrazia. Inoltre, in quanto strumento, il referendum è privo di valore etico, ciò dipendendo da chi lo usa.
Il fatto che paesi tra i più civili al mondo, come Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia, pratichino scarsamente le iniziative popolari e i referendum, e dunque sono “quasi esclusivamente fondati sul principio di rappresentanza” (Suksi 1994: 133), prova che democrazia e referendum sono due cose diverse.
I valori della democrazia non dipendono dal referendum, ma dalla presenza di cittadini democratici. Infatti, come ha ben osservato Gustavo Zagrebelsky, “una democrazia senza qualità individuali apre la strada ai demagoghi” (2007: 19). Il che vuol dire che la partecipazione referendaria dei cittadini può ben essere desiderabile, ma non perché produce un incremento di democrazia.

3.2. Democrazia senza partiti e senza rappresentanza
Dal momento che orbita intorno al cittadino democratico, la democrazia non è né di destra, né di sinistra, né di centro, perché il cittadino è un microcosmo in continuo divenire e senza contorni precisi, che mal si presta ad essere ingabbiato in partiti politici precostituiti e nemmeno ad essere soggetto a leggi o norme morali assolute. In un paese democratico, i cittadini dovrebbero decidere di volta in volta come meglio credono e nel rispetto del principio di sussidiarietà. Nei casi che richiedano una rappresentanza, i soggetti prescelti non dovrebbero ottenere una delega in bianco, ma agire in veste di commissionari, ovverosia svolgere una mansione meramente esecutiva, sulla base di clausole registrate in uno specifico contratto e di un mandato imperativo. Se così non fosse, i cittadini risulterebbero divisi in due ben distinte classi sociali e ciò prefigurerebbe una «società duale» che, come abbiamo osservato, non può essere fatta rientrare fra i valori democratici.

3.3. Modelli di Democrazia Diretta
Oggi non esistono modelli operativi di DD paragonabili a quello che si è affermato nell’Atene del VI-V secolo. “La democrazia diretta […] non solo non esiste, ma neppure costituisce l’utopia di alcuna forma politica significativa” (Salvadori 2009: 11). Esistono invece modelli, che possiamo chiamare «misti», ossia modelli DR con implementati elementi di DD (primi fra tutti, lo strumento referendario e l’e-democracy).

3.4. Critiche alla DD
Le critiche che sono state mosse alla DD e che ne hanno impedito l’affermazione nell’età contemporanea sono essenzialmente due: la DD si addice solo alle piccole comunità; il popolo non sa autogovernarsi. Per questi temi si rimanda al blog http://studisudemocrazia-democrazia5.blogspot.com/

3.5. DD: luci e ombre
La DD è il sistema politico pro-individuale per eccellenza e, in quanto tale che stimola al massimo grado le potenzialità, i talenti e l’apporto produttivo e creativo di ciascun cittadino, e favorisce, più di ogni altro, lo sviluppo psicofisico dei cittadini, la loro libertà, la loro maturità, il loro desiderio di autonomia, la loro felicità.
Per contro, la DD è anche un sistema molto dispendioso, che si può realizzare solo se è disponibile un’adeguata ricchezza economica. Inoltre, la DD richiede molto ai cittadini e “può davvero risultare logorante e defatigante: in un certo senso, quanto più è democratica, tanto più sfinisce chi ne fa parte” (Ginsborg 2004: 207).
La DD non è buona in sé: la sua bontà dipende dalla volontà degli individui di autogovernarsi e dalla loro maturità, che non è stabile nel tempo, ma va costantemente alimentata e sostenuta. Se gli individui non sono messi in grado di assumersi le proprie responsabilità, il sistema entra in crisi e si rischia di cadere nell’autoritarismo e nella dittatura.
Si tratta, in definitiva, di un sistema politico instabile e delicato, che richiede continue attenzioni.

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