“All’epoca nostra, la democrazia è data per scontata, laddove si tratta invece di uno dei più rari, delicati e fragili fiori sbocciati nella giungla dell’umana esperienza […]. Soltanto nell’antica Atene e negli Stati Uniti la democrazia è durata due secoli. La monarchia e forme diverse di dispotismo, invece, hanno avuto vita millenaria” (Kagan 1991: 4). Ma che cos’è questo fragile fiore?
Chiunque abbia cercato una definizione soddisfacente e non banale di democrazia sarà rimasto deluso nel constatare che una tale definizione non c’è e forse, possiamo aggiungere, nemmeno ci può essere. In senso letterale, il termine «democrazia» deriva dal greco e indica quel sistema politico in cui il potere è esercitato dal popolo. Ora, questa definizione è fuorviante perché, come avremo modo di dimostrare, il popolo è un attore dalle mille facce, un soggetto inafferrabile e continuamente mutevole nella composizione e negli interessi, e il fatto che qualcuno proponga l’espressione “popolo al potere” (Preve 2006: 19), anziché “potere del popolo” non cambia la sostanza delle cose.
Comunque la voglia intendere, la democrazia non è solo un programma politico, ma è piuttosto un sistema culturale che investe ogni settore della vita (economico, sociale, giuridico, amministrativo, finanziario), il che ha indotto Takis Fotopoulos a parlare di «democrazia globale» (1999). Ha ragione, dunque, Massimo Fini quando osserva che “Nessun elemento, preso di per sé, sembra esclusivo della democrazia e quindi abile a definirla” (2004: 45).
2.1. Origini e sviluppo
La democrazia è un sistema di governo che, per quanto ne sappiamo, è stato ideato e attuato per la prima volta nella Grecia del VI-V secolo a.C., in un’epoca in cui la polis era considerata la struttura politica per eccellenza. Ebbene, sotto il termine «politica» (termine che deriva appunto da polis) i greci compresero “tutte (o quasi) le attività che riguardano la polis e che si svolgono nel suo ambito” (Pasquino 2008: 4), di cui ogni cittadino avrebbe dovuto occuparsi attivamente e responsabilmente, senza (nel limite del possibile) delegare alcuno. Questo modo di intendere la politica, che i greci chiamarono democrazia (senza aggettivi, perché all’epoca la democrazia era solo di tipo diretto), venne del tutto abbandonato dopo la caduta della polis e solo negli ultimi due secoli è stato ripreso e modificato per adattarlo alle nuove, ben più grandi e complesse strutture politiche, gli Stati-nazione. Si è così prodotta una nuova forma di democrazia, la democrazia rappresentativa, che in precedenza era del tutto sconosciuta.
2.2. Forme di democrazia
Si riconoscono dunque almeno due forme di democrazia, una diretta (o assembleare, o partecipativa, o degli antichi) e una rappresentativa (o indiretta, o parlamentare, o dei moderni), e si tratta, come vedremo, di due modelli molto diversi fra loro (d’ora in avanti le designeremo rispettivamente con gli acronimi DD e DR). Di questi due modelli, oggi conosciamo quasi esclusivamente il secondo, che, almeno in Occidente, è ritenuto il miglior modello politico esistente (Lindblom 1979: 375) e forse anche il miglior modello politico concepibile, a tal punto da indurre molti a credere che la democrazia possa e debba essere esportata in altri paesi anche con la forza. Ai nostri tempi, essere democratici è di moda. “Tutti gli stati oggi si professano democratici perché la virtù di uno stato è di essere una democrazia” (Dunn 1983: 27). Ciò non vuol dire che sappiamo esattamente che cosa significhi e neppure che ci sia un significato univoco di democrazia. In realtà, “Pochi concetti appaiono chiari e sono così confusi come quello della democrazia” (Cassese 1995: 41). La democrazia è un fenomeno complesso e, se vogliamo ben comprenderla, dobbiamo sforzarci di guardare ad essa con occhio distaccato e spirito sereno. Iniziamo col prendere in considerazione la democrazia senza aggettivi.
2.3. Democrazia come sovranità popolare
Tutti sappiamo che il termine «democrazia» deriva dal greco e significa «governo del popolo». “Democrazia vuol dire sovranità popolare” (Calamandrei 1995: 95). Lo ripetono in tanti. Takis Fotopoulos scrive: “sul piano politico non può esserci che unica forma di democrazia: l’esercizio diretto della sovranità da parte del popolo stesso, una forma di istituzione sociale che rifiuta qualsiasi forma di «governo» e che istituzionalizza l’equa ripartizione del potere politico tra tutti i cittadini” (1999: 23). Secondo Verhulst e Nijeboer, “Democrazia significa che il popolo fa le leggi” (ivi p. 14). Lo conferma la nostra costituzione, che dice appunto: “la sovranità appartiene al popolo” (art. 1).
Tuttavia, in assenza di specificazioni, questa espressione rischia di rivelarsi troppo generica e fuorviante, non tanto per quel che attiene il termine «governo», che sembra sufficientemente chiaro, quanto per il termine «popolo», che invece “si caratterizza per una polisemia e una varietà di usi che ne fanno uno strumento retorico molto apprezzato e una nozione difficile da analizzare” (Mény, Surel 2001: 171).
Su queste basi è possibile comprendere perché esistano innumerevoli modi di intendere la democrazia, nessuno dei quali è esaustivo e appagante.
Aristotele distingue quattro forme di democrazia (Pol. 4, 1291b – 1292a).
1. Quella basata sul principio di eguaglianza e di maggioranza per numero.
2. Quella in cui le cariche dipendono in parte dal censo.
3. Quella in cui sovrana è la legge e non la massa.
4. Quella in cui sovrana è la massa e non la legge.
Per lo Stagirita la migliore sarebbe la prima (Pol. 4, 1318b).
2.3.1. Che cos’è il popolo?
Storicamente, il termine «popolo» è stato usato per indicare «i molti», «i più», «le masse», «i poveri», «i ricchi», «i più istruiti», «lo Stato», «la nazione», «gli uomini in armi», «la classe dominante», «i proprietari», «tutti i cittadini», «tutti gli individui residenti», «la maggioranza», e via dicendo. Oggi, in un paese come l’Italia, potremmo attenderci un consenso pressoché unanime su espressioni del tipo: «il popolo italiano sono tutti i cittadini italiani», oppure “Democrazia significa governo di tutti [i cittadini italiani]” (Baldassarre 2002: 281). Sennonché è pressoché impossibile che «tutti i cittadini» possano operare come se fossero un’unica persona e come se avessero una sola volontà. Così, nella pratica, il popolo è solo una parte dei cittadini (la maggioranza degli elettori, i cittadini possidenti, la massa dei cittadini più poveri, i partiti, il parlamento, gli oligarchi, il monarca, e via dicendo), col risultato che quella «parte» avocherà a sé il diritto di comandare e decidere sulla totalità. Ha ragione dunque W. Pohl quando afferma che “I popoli sono concetti astratti” (2000: 2). In conclusione, «popolo» è un termine fluido e inadatto a connotare la democrazia. Infatti, a seconda di cosa intendiamo per popolo, non solo cambierà il significato di democrazia, ma potremmo addirittura trovarci di fronte ad un sistema politico non democratico.
2.3.2. Il cittadino democratico
Più che il popolo è il cittadino democratico che si presta a connotare la DD. Per capire cosa intendo per cittadino democratico prendo in prestito l’idea di
empowerment, che da alcuni decenni è entrata nel gergo socio-politico. Empowerment è un termine che può essere usato in riferimento ad una persona o ad un gruppo (un’impresa, un’istituzione, o altro) e significa essenzialmente mettere al primo posto la persona e il suo talento, valorizzare le specifiche potenzialità di ciascuno e consentirne la partecipazione attiva e responsabile nella famiglia, nell’impresa, nella società e nello Stato. Un soggetto empowered è innanzitutto una persona libera e autonoma, che esige rispetto e rispetta (Piccardo 1995: 33). Empowerment potrebbe essere definito come “il processo di sviluppo dell’individuo, membro della «polis», al più alto livello delle proprie possibilità personali e spirituali” (Piccardo 1995: 56). Empowerment significa avere fiducia nelle proprie capacità, avere la padronanza nel proprio ruolo e nei propri compiti, assumersi le proprie responsabilità, essere imprenditore di se stessi. Significa anche che in un’azienda nessuno svolge mansioni puramente esecutive, né obbedisce acriticamente ad ordini gerarchici, ma ha competenza in quello che fa e ne è responsabile (Piccardo 1995: 20). Ebbene, il concetto di empowerment si attaglia perfettamente all’idea di cittadino democratico.
Chiamo democratico il cittadino autonomo nel pensiero e nel giudizio (libero), disposto a spendere parte del suo tempo in questioni di pubblico interesse (partecipativo) e a rispondere delle proprie azioni (responsabile). Ora, va da sé che un cittadino non nasce democratico, ma deve diventarlo, e può diventarlo solo grazie all’opera educativa della comunità e alle leggi dello Stato. Un cittadino può essere democratico solo se ha ricevuto un’adeguata istruzione, se può accedere alle informazioni che lo interessano, se è capace di fare una sintesi personale di ciò che osserva e apprende, se non è assillato da problemi di salute e di sussistenza. Un cittadino può essere democratico solo se lo vuole, se accetta di buon grado di impegnare la sua mente nell’imparare, nella conoscenza, nello studio, nella riflessione, nel ragionamento, ma anche nell’ascolto dell’altro, nel confronto, nel confronto e nella deliberazione. Io credo che la democrazia debba essere vista come la risultante di un processo culturale che, avvicinando lo Stato al cittadino e il cittadino allo Stato, crea un circolo virtuoso in base al quale lo Stato educa i cittadini alla propria autonomia e il cittadino autonomo genera un sistema politico democratico. Alla fine, “la democrazia è quel processo educativo comunitario, in cui […] la plebe diventa popolo, e il popolo va al potere” (Preve 2006: 125).
Dal canto suo, lo Stato deve adoperarsi e vigilare affinché i diritti fondamentali siano effettivamente fruiti da tutti i cittadini e non deve ostacolare la libera espressività degli individui. Uno Stato che disattenda a questa sua primaria funzione, e l’Italia è tale, non può essere definito democratico, bensì, come osserva Costanzo Preve, “una oligarchia” (2006: 23). Il nostro paese mal sopporta i cittadini democratici, mentre incoraggia coloro che sono disposti ad alienare la propria libertà, a delegare, a riporre la fiducia ai partiti e ai rappresentanti di partito, a rinunciare al libero pensiero personale, alla libera opinione e alla partecipazione attiva. Il nostro paese conferisce la sovranità al popolo, ma solo in teoria. Infatti, concretamente la sovranità è esercitata dal Parlamento. Ebbene, un paese è veramente democratico allorché il potere sovrano è esercitato effettivamente da tutti i cittadini democratici. “Il potere del popolo, o meglio il popolo al potere – scrive Preve, presuppone un insieme di cittadini consapevoli, informati e soprattutto sovrani del contenuto della propria decisione politica” (2006: 22).
2.4. Democrazia come modello politico senza identità
In ogni caso, indipendentemente cioè da cosa vogliamo intendere col termine «popolo», affermare che democrazia è il «governo del popolo» significa ammettere che è democratico tutto ciò che decide liberamente il popolo. Il fatto è che non possiamo sapere in anticipo ciò che deciderà il popolo di caso in caso. Il popolo, infatti, potrà decidere di avere o non avere partiti, di assegnare le cariche istituzionali per votazione, per sorteggio o per nascita, di farsi rappresentare (DR) o di attuare un autogoverno (DD), o altro ancora. Ora, poiché è impossibile prevedere ciò che deciderà il popolo, ne deriva l’impossibilità di formulare una definizione descrittiva della democrazia, e, infatti, conosciamo democrazie liberali, sociali, comuniste, libertarie, elitarie, totalitarie, e via dicendo. Se ci limitiamo, dunque, a questa definizione, dobbiamo rinunciare a qualsiasi tentativo di identificazione valoriale della democrazia: democrazia sarà semplicemente ciò che avrà deciso il popolo. Bene ha fatto dunque Carlo Rosselli a vedere nella democrazia "il solo regime che non ha una meta specifica" (Urbinati 2011: 127).
2.5. Democrazia come sistema di valori
Nella realtà la democrazia non può essere ridotta ad una semplice struttura di istituzioni e procedure, perché nessun sistema politico può fare a meno di esprimere dei valori condivisi. Ebbene, a partire dal 1776, il pensiero democratico ha espresso due principali forme di codificazione di princìpi democratici, le Costituzioni e le Dichiarazioni, che hanno soppiantato la volontà del sovrano e le norme consuetudinarie. Si potrebbe dire che oggi sono questi i valori ritenuti connotativi della democrazia. Sono i valori di popolo, cittadino, libertà, uguaglianza, partecipazione, diritti della persona, divisione dei poteri, rappresentanza, e via dicendo, che siamo soliti associare all’idea di democrazia, tanto che, se un popolo sovrano rinunciasse spontaneamente anche ad uno di essi, dubiteremmo della sua democraticità.
Dobbiamo perciò ammettere che la democrazia non può essere identificata semplicemente con la volontà del popolo o con una somma di procedure e istituzioni, ma deve avere anche dei valori, o, come dice Bobbio, “dovrebbe essere insieme formale e sostanziale” (Bobbio,
Democrazia, in Bobbio, Matteucci, Pasquino 2004). Ebbene, sono i valori democratici (libertà, uguaglianza, solidarietà, giustizia sociale, ecc.) che fanno della democrazia un fine più che una semplice procedura.
2.6. Democrazia come individualismo
“La democrazia è un sistema che crea le condizioni economiche, politiche e culturali per il pieno sviluppo dell’individuo” (Fromm 1992: 214). Secondo Gustavo Zagrebelsky, “La democrazia è l’unica forma di reggimento politico che rispetta la mia dignità, mi riconosce capace di discutere e decidere della mia vita pubblica” (2007: 42). Se questa è la specificità della democrazia, ne consegue che un popolo è democratico quando rispetta la dignità della persona e crede nella capacità del cittadino di interpretare proficuamente un ruolo politico.
Un cittadino è democratico se è capace di pensare in modo autonomo e di assumersi responsabilità in merito alle proprie azioni. Di norma, qualsiasi cittadino può raggiungere questo traguardo, ma a due condizioni: deve avvertire il desiderio di essere un soggetto di diritti e deve ricevere una valida educazione.
Al contrario, un paese è democratico solo e nella misura in cui è in grado di formare cittadini democratici. Uno Stato incapace di formare cittadini democratici non può essere democratico, perché la democrazia origina innanzitutto dalla qualità delle singole persone. Infatti, come osserva Zagrebelsky, “una democrazia senza qualità individuali si applica ai capipopolo e questi, a loro volta, hanno bisogno di uomini-massa, non di uomini-individui” (2008: 124).
Un cittadino merita di essere lasciato libero se lo si ritiene capace di imparare a ragionare con la propria testa e di assumersi le proprie responsabilità politiche, ed per le stesse ragioni che merita di essere considerato uguale. Questo è lo spirito che si agita nelle nostre Costituzioni e Dichiarazioni e che può essere compendiato nel diritto al rispetto reciproco. In quanto persone libere e uguali, i cittadini meritano lo stesso rispetto. Ora, però, un cittadino non può pretendere che gli altri lo rispettino veramente se lui non è disposto a fare altrettanto con loro. Il rispetto per gli altri è il prezzo che egli dovrà pagare per poter pretendere il rispetto di sé. Secondo Zagrebelsky, “tolleranza, uguaglianza, diritti, democrazia ecc. non possono vivere se non sono accettati in una serie di rapporti in cui ciascuno è disposto a dare agli altri quel che pretende per se stesso” (2008: 6). Lo stesso studioso ha ritenuto di poter lanciare la seguente proposta: “Il motto della democrazia dovrebbe essere: «Rispetta il prossimo tuo come te stesso»” (2007: 44).
Il tratto fondamentale della democrazia potrebbe dunque consistere nel riconoscimento del valore della persona, e ciò spiega perché comunemente ci aspettiamo che la democrazia proclami che
tutti gli esseri umani sono uguali per nascita e sono potenzialmente capaci di assumersi la stessa quota di sovranità. Se così non fosse, essa si confonderebbe con la monarchia assoluta (che riconosce la sovranità ad uno solo) o con l’oligarchia (che riconosce la sovranità a pochi) o con la repubblica censitaria (che riconosce la sovranità a molti).
È un dato di fatto che la democrazia si è affermata solo dove ci sono state persone che hanno avvertito il desiderio di libertà e autonomia, hanno creduto nei propri mezzi e hanno avuto piacere di essere artefici del proprio destino, e dove questo sentimento (che chiamiamo «individualismo») è mancato, si sono affermati regimi autoritari e paternalistici, in cui poche persone hanno pensato e deciso per tutti. La democrazia origina, dunque, dall’anelito dei cittadini alla propria libertà, quelli che Alain Touraine chiama “soggetti” (2008: 274), e risponde al bisogno di autonomia degli individui, attraverso la proclamazione dei diritti della persona, ma non a tutti.
2.7. Democrazia come governo dei cittadini
La democrazia è dunque fondata sulla figura del «cittadino democratico», che è, o è ritenuto, capace di “rispondere a qualcun altro delle proprie azioni o inazioni e delle loro conseguenze” (March, Olsen 1997: 192) e, poiché, come abbiamo detto, senza cittadini democratici non può esserci democrazia, un paese che voglia essere democratico destinerà la massima parte delle sue risorse alla creazione di istituzioni (scuola, associazioni di categoria, mass media, comunità locale) atte a formare cittadini liberi e responsabili e accrescere quanto più possibile il capitale umano. In ultima analisi, la democrazia può essere ben compresa solo assumendo che il suo “fine politico ultimo consiste nella promozione delle capacità
individuali” (Nussbaum 2002: 80).
In virtù di questa semplice consapevolezza, possiamo dire che democrazia significa “consentire agli individui e ai gruppi di essere protagonisti della propria storia” (Touraine 1998: 251-2); significa riconoscere a ciascun individuo il diritto di gestire liberamente la propria sovranità, senza doverla alienare a favore di chicchessia; significa garantire a ciascuno un’esistenza dignitosa e aiutarlo ad esprimere al massimo il proprio talento naturale; significa garantire a tutti pari condizioni di partenza e dare a ciascuno secondo i propri meriti; significa favorire la pubblica discussione sia all’interno delle comunità locali sia nel web e la partecipazione di tutti i cittadini alla preparazione dell’ordine del giorno e al processo deliberativo; significa formare cittadini sovrani.
2.8. Democrazia come governo di uomini uguali
L’idea di democrazia viene spesso identificata col principio di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, che è stato a lungo accarezzato nei sogni delle masse popolari nel corso della storia. Non è qui il caso di entrare a fondo nell’intricata questione dell’uguaglianza. Ci basti ricordare che, nonostante siano stati versati fiumi di inchiostro, non si è approdati a punti fermi o verità condivise. Ciò ha indotto Felix O. Oppenheim ad affermare “che la moderna teoria democratica non può essere qualificata né come egualitaria né come inegualitaria, ma è una fusione di entrambi i generi di princìpi: livellamento fino ad un certo punto (attraverso distribuzioni diseguali), al di là del quale intervengono redistribuzioni inegualitarie” (2004). Come si pone, dunque, la democrazia nei confronti del principio di uguaglianza?
È incontrovertibilmente evidente che gli individui sono diversi per volontà e abilità, e ciò non può essere messo in discussione nemmeno dalla democrazia più estrema. Il principio di uguaglianza democratico dev'essere visto piuttosto come un giudizio di valore e non vuol dire altro che ogni individuo ha la medesima dignità di chiunque altro ed è meritevole del medesimo rispetto. L'uguaglianza, in democrazia, non si riferisce alle abilità dellla persona, ma alla persona complessivamente intesa, che è un unico, un assoluto, un incomparabile. È questa l'idea di u. che anima la democrazia, "l'idea cioè che gli esseri umani, donne e uomini, siano uguali per valore e dignità morale e che nessuno abbia per natura, tradizione, convenzione, volontà umana o divina un potere superiore tale per cui possa prendere decisioni sulla vita degli altri senza o contro il loro consenso" (Urbinati 2011: 129). In sostanza, la democrazia non è, e non può essere, del tutto egualitaria: essa può, al massimo, proporsi come il sistema politico meno inegualitario fra quelli esistenti.
2.9. Democrazia come governo di uomini liberi
Insieme all’uguaglianza, la libertà è comunemente ritenuta un fattore connotativo della democrazia, almeno di un certo tipo di democrazia, quella dei Locke, dei Montesquieu, dei Constant, che mira a garantire i diritti dell’individuo dal potere dello Stato e perciò si distingue dalle democrazie non liberali, come la democrazia plebiscitaria, populista e totalitaria. L’idea di libertà personale può essere considerata una riscoperta dei moderni e costituisce il fiore all’occhiello della democrazia liberale, che è degnamente simboleggiata dalle varie Carte costituzionali e dalle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo, nel cui prototipo, il
Bill of Rights della Virginia del 12 giugno 1776, per la prima volta si legge: “Tutti gli uomini sono di natura egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti innati”. In democrazia l’uomo è considerato libero, ma non solo e non tanto per la mancanza di impedimenti, quanto per l’effettiva capacità e volontà di formarsi ed esprimere opinioni proprie.
2.10. Democrazia come governo della legge
Per Platone, il potere politico spetta agli uomini più sapienti, ed essi potrebbero esercitarlo in modo assoluto se potessero contare in una spontanea sottomissione degli insipienti, cosa impossibile a causa della stessa ignoranza dell’insipiente, oppure se potessero imporsi con la forza, cosa altrettanto impossibile perché gli insipienti sono in maggior numero. La sola via che resta ai sapienti è quella di governare attraverso la legge (Strauss 1998: 157-68).
Già gli antichi ateniesi parlavano di isonomia (eguaglianza di fronte alla legge) come di un cardine della democrazia, ed erano convinti che, là dove governano le leggi, c’è, o si presume che ci debba essere, giustizia e i cittadini non dovrebbero avere di che lamentarsi. Quello che era isonomia per gli antichi diviene Stato di diritto o buongoverno per i moderni.
Le democrazie moderne incarnano lo Stato di diritto, che è fondato sui princìpi generali espressi nelle costituzioni o nelle consuetudini e specificati nelle leggi. Il potere delle leggi si contrappone al governo arbitrario del principe, e serve a tutelare il cittadino nei confronti di questa arbitrarietà. Il diritto è l’ordinamento normativo di uno Stato finalizzato al conseguimento di rapporti pacifici fra i cittadini e della conservazione dello Stato stesso. Nello stesso tempo, il diritto può essere visto “come il principale strumento attraverso cui le forze politiche che detengono il potere dominante in una determinata società esercitano il proprio domino” (Bobbio,
Diritto, in Bobbio, Matteucci, Pasquino 2004).
2.11. Democrazia come rispetto dei diritti della persona
Le costituzioni e le leggi servono ad indicare e definire i diritti delle persone, ossia i loro bisogni. Ma in democrazia non basta il riconoscimento dei diritti sulla carta. Occorre anche che lo Stato si adoperi affinché il cittadino sia effettivamente in grado di esercitare i diritti di cui è accreditato dalla legge. Non basta, per esempio, proclamare il diritto alla libertà di pensiero dei cittadini per essere democratici. Infatti, la democrazia esige siano contemporaneamente messi in grado di esprimere un libero pensiero. “Il diritto di esprimere i nostri pensieri […] ha un significato solo se siamo capaci di avere pensieri nostri” (Fromm 1992: 189). Insomma, la democrazia deve impegnarsi nel rendere effettivi i princìpi enunciati nella Costituzione e nel reperire le risorse necessarie “per soddisfare i bisogni fondamentali [di tutti i cittadini]” (Fotopoulos 1999: 130-1).
2.12. Democrazia come governo laico
Tutte le democrazie tengono a distinguersi dai governi confessionali e perciò affermano di ispirarsi ai valori della laicità e al rispetto di tutte le religioni.
2.13. Democrazia come luogo di discussione aperta e illimitata
“La democrazia è il regime della circolazione delle opinioni e delle convinzioni, nel rispetto reciproco” (Napolitano, Zagrebelsky 2010: 47). Uomini liberi ed uguali che mettono sul tavolo delle discussioni le proprie idee, questa è la democrazia. Ma a determinate condizioni: la discussione è democratica quando i soggetti che si confrontano si limitino a spiegare le buone ragioni su cui poggiano le proprie opinioni e siano disposti ad ascoltare le buone ragioni degli altri a sostegno delle rispettive opinioni, rinunciando nel comtempo alla reciproca prevaricazione. "Il dialogo tra eguali riposa sul rispetto dell'autonomia di giudizio e sulla reciprocità: portare ragioni per ciò che si propone o non si vuole è un segno di rispetto per gli altri e un impegno a sforzarsi di essere attori pubblici, non solo individui privati" (Urbinati 2011: 130).
“La democrazia è discussione, ragionare insieme” Zagrebelsky 2008: 124). Si esprime nella libera discussione e cessa col cessare di questa. Possiamo perciò chiamare democratica una nazione nella quale, oltre ad esserci cittadini democratici, sono diffusamente praticati la libera discussione, il libero e pieno accesso alle fonti di informazione, il libero confronto delle opinioni su tutte le questioni di interesse generale, la scelta comunitaria dell’ordine del giorno e il processo deliberativo assembleare. Nella forma deliberativa Paul Ginsborg vede la massima espressione della democrazia, il mezzo capace di coniugare il meglio della DR e delle DD. Essa “non è una fabbrica di chiacchiere ma piuttosto uno strumento idoneo a coinvolgere un numero notevole di individui nella più importante attività della politica democratica: quella di prendere decisioni sagge entro ragionevoli termini di tempo” (Ginsborg 2004: 239).
C’è però un problema: “La democrazia nella sua forma partecipata è prolissa; in quanto tale, corre notevoli rischi […] di paralizzare le istituzioni” (Ginsborg 2004: 208). La discussione non regolata, infatti, potrebbe rivelarsi interminabile, sterile e inconcludente, col rischio di non decidere nulla e di paralizzare l’apparato esecutivo di cui ogni società ha bisogno per funzionare. Quasi quotidianamente, infatti, ogni comunità deve prendere decisioni su tante questioni, come la costruzione di una strada, di una scuola, di un ospedale, o la realizzazione di asilo nido o di una casa per anziani, e via elencando, tutte questioni sulle quali è quasi impossibile aspettarsi l’unanimità delle opinioni. Ebbene, la necessità di preservare la funzione decisionale impone l’introduzione di regole, ossia di limiti alla libertà dei cittadini, come quello di stabilire un termine alla discussione e di mettere ai voti le opzioni in campo, obbligando l’intera comunità ad accettare la volontà della maggioranza.
Tuttavia, una regola che decretasse la chiusura definitiva della discussione su un qualsiasi argomento decreterebbe la fine della democrazia stessa, che invece è fondata proprio sulla discussione. Di conseguenza, il voto può definirsi democratico solo quando la sua funzione si limiti a rispondere alle esigenze pratiche della comunità e non a spegnere la discussione. In altri termini, il voto è compatibile con la democrazia se serve a consentire il regolare svolgimento del processo esecutivo, ma non a bloccare la discussione. La democrazia, infatti, osserva Gustavo Zagrebelsky, “implica la reversibilità di ogni decisione” e, pertanto, “nessuna votazione, in democrazia […], chiude definitivamente una partita” (2007: 19).
2.14. Democrazia come rispetto sia della maggioranza che della minoranza
La procedura democratica prevede che, dopo che le parti abbiano espresso le rispettive opinioni corredate delle loro buone ragioni, si passa alla votazione e si accetta all'unanimità l'opinione che abbia ricevuto la maggioranza dei consensi, elevandola a dignità di legge. Ciò però non dovrà implicare che i dissenzienti debbano rinunciare alle proprie opinioni: il fatto di aver votato la volontà della maggioranza non dovrà impedire alla minoranza (al limite estremo, all'unico individuo dissenziente) di continuare a manifestare il proprio dissenso. È pertanto da ritenere corretta l'annotazione di Nadia Urbinati, secondo cui "la capacità di dissentire nonostante si obbedisca alla legge è la virtù più peculiare della cittadinanza democratica" (2011: 166). Secondo la studiosa, "la più peculiare virtù democratica è quella del dissenso" (Urbinati 2011: 140). In pratica, in democrazia accade questo, che la maggioranza fa le leggi ricevendo l'approvazione della minoranza, la quale tuttavia conserva il diritto del dissenso. È in questo senso che la democrazia porta rispetto tanto alla maggioranza quanto alla minoranza.
2.15. Democrazia come processo deliberativo aperto
La democrazia trova la sua naturale espressione in quella che è stata chiamata «democrazia deliberativa». “L’aggettivo inglese
deliberative (deliberativo), riferito alla democrazia, racchiude in sé il doppio significato di discutere e decidere. Nell’arena deliberativa i cittadini sono chiamati non solo a dibattere fra loro o con i politici, ma a giocare un ruolo significativo nel processo decisionale” (Zagrebelsky 2007: 73). “A definire la democrazia deliberativa è la stessa idea di deliberazione. Nel deliberare, i cittadini si scambiano opinioni sulle questioni di politica pubblica, e discutono le ragioni che le sostengono” (Rawls 2001: 185), con la disposizione d’animo di chi è disposto a confrontarsi lealmente, a mettersi in discussione e a rivedere le proprie posizioni. In ultima istanza, la democrazia deliberativa si fonda sulla fiducia nei cittadini e sulla loro partecipazione responsabile alla politica.
La sede specificamente preposta al dibattito fra cittadini comuni e alla deliberazione assembleare è la Comunità Locale.
2.16. Democrazia come partecipazione
La democrazia è innanzitutto partecipazione. “L’esistenza di una qualsivoglia istituzione democratica nella sfera politica si svuota da sé di ogni significato quando un gran numero dei cittadini non si trovano in una condizione economica che consenta loro di dedicare il tempo necessario a un’effettiva partecipazione alle procedure democratiche” (Fotopoulos 1999: 45).
In assenza di valide ragioni, la democrazia esige che le decisioni di pubblico interesse vengano prese direttamente dal maggior numero possibile dei cittadini democratici. Si può discutere se su ogni questione debbano essere chiamati a decidere «tutti» o soltanto quelli interessati o competenti, ma non è questa la sede opportuna. Qui ci limitiamo ad osservare che questa questione è da annoverare fra gli aspetti procedurali, e non sostanziali, della democrazia. In altri termini, ai fini della democraticità, non è necessario che tutti partecipino su tutto, ma che nessuno, fra quanti si sentano interessati o competenti in una specifica questione, venga escluso dal processo decisionale deliberativo. “La libertà non consiste nel numero di persone che scelgono di partecipare ai processi decisionali, ma nel fatto che esse abbiano l’inalienabile possibilità di farlo, di scegliere se decidere o non decidere su questioni di pubblico interesse” (Bookchin 1995: 493).
2.17. Democrazia come sovranità del cittadino
La D può essere vista come un sistema politico fondato sulla sovranità del cittadino. "La sovranità del giudizio individuale –lo stesso principio che giustifica il «governo per mezzo della discussione» – è il «punto fisso» (ciò che i cittadini convengono a tenere come «sacro») che tiene insieme la società democratica" (Urbinati 2011: 132). In effetti, la sovranità del cittadino può a buon diritto rappresentare la quintessenza della D, ovvero il fattore in base al quale si potrà distinguere una vera democrazia da una pseudo-democrazia. La vera democrazia non è necessariamente sinonimo di buongoverno. Il buongoverno dipende, infatti, dalla qualità dei cittadini sovrani. Alla fine dovremmo ammettere che il buongoverno democratico è quello che favorisce la formazione di cittadini democratici e riconosce loro un diritto sovrano.
2.18. Democrazia come macchina di governo
Come ogni altro sistema politico, anche la democrazia ha bisogno di adeguate strutture per funzionare. Tuttavia, a differenza dei regimi autocratici, in democrazia queste strutture non dipendono dalla volontà di un sovrano, ma obbediscono ad un quadro di norme generali, che sono espresse in una Carta costituzionale o sono desumibili dalla consuetudine.
2.19. Democrazia come Federalismo
Uno dei modelli organizzativi più congeniali alla democrazia è il federalismo.
2.20. Democrazia come capitalismo
“In molti paesi, la democrazia consiste unicamente nell’assenza di un potere assoluto e nel trionfo dell’economia di mercato. Ma se è vero che non c’è democrazia senza economia di mercato, è anche vero che spesso l’economia di mercato è legata a regimi non democratici” (Touraine 1998: 254).
Francis Fukuyama chiama «liberale» o «capitalistica» la democrazia che riconosce il “diritto alla libera attività economica ed allo scambio economico basato sulla proprietà privata e il mercato” (1996: 65). Secondo lo studioso, la democrazia capitalistica costituisce il punto d’arrivo dell’evoluzione culturale dell’umanità e la forma definitiva di governo politico, e, pertanto, rappresenta la “fine della storia” (1996: 9). Insomma, “oggi noi riusciamo a malapena a immaginarci un mondo migliore del nostro, o un futuro che non sia sostanzialmente democratico o capitalista” (1996: 67). Nel suo argomentare, Fukuyama parte dal «primo uomo», ossia dall’uomo nello stato di natura, il quale, a differenza di altri animali, avvertiva già un desiderio di gloria (
thymòs), che lo induceva a mostrarsi coraggioso e a rischiare la propria vita pur di cattivarsi il riconoscimento degli altri (1996: 164ss). Erano pochi, tuttavia, coloro che provavano questo sentimento, che Fukuyama chiama «
megalotimia». In maggior numero gli uomini si accontentavano, infatti, di essere riconosciuti come uguali (
isotimia). I primi diventarono padroni, i secondi schiavi (1996: 165), e tutto ciò che c’è di buono nella storia è stato creato proprio da quegli uomini che cercavano la grandezza (1996: 318). Ebbene, la democrazia capitalistica è la forma di governo che si sono data gli uomini migliori.
2.21. Democrazia come cosmopolitismo
“La democrazia cosmopolitica è un progetto estremamente ambizioso il cui obiettivo è il conseguimento di un ordine mondiale ispirato ai valori della legalità e della democrazia” (Archibugi, Beetham 1998: 66).
2.22. Democrazia come utopia
La democrazia ha sempre avuto la presunzione di presentarsi come il migliore dei governi rispetto a quelli esistenti. Lo si può desumere tanto dalle orgogliose parole pronunciate da Pericle nel famoso discorso in commemorazione dei caduti dopo il primo anno della guerra del Peloponneso (Tucidide II, 37) quanto dalla prosopopea che mostrano gli Occidentali allorché confrontano il loro sistema politico con quello di chiunque altro. In un certo senso, ciò è dovuto al fatto che tendiamo a vedere nella democrazia quasi il coronamento di un sogno che ci ha accompagnato sin da tempi remoti, il sogno di realizzare una società migliore e più giusta. Storicamente questo sogno ha prodotto tentativi concreti di democratizzazione e costruzioni utopiche.
2.23. Fattori pro e anti democrazia
Si veda in http://studisudemocrazia-democrazia5.blogspot.com/ post n. 9.